[Intervista di Maurizio Baiata per Classic Rock, Novembre 2022]
Negli anni 70 erano considerati Prog. Ma gli Opus Avantra provengono da un altro mondo, assai più complesso e misterioso: l’Avanguardia

Chi si avventura nel mondo della musica contemporanea corre il rischio di venire emarginato, di essere tacciato di tentare espressioni elitarie, fuori dalle regole, fuori dal gioco, vero? Lo sono stati, lo sono ancora, gli Opus Avantra? In questa intervista, rispondono Donella Del Monaco (D) e Alfredo Tisocco (A), che con Giorgio Bisotto (venuto a mancare alcuni anni fa) e Renato Marengo diedero vita a un mini[1]ensemble di grande importanza per la musica avanzata dei primi anni Settanta. In uno speciale “Avanguardia” di «Best» c’era una mia scheda su Opus Avantra: era il maggio del 1977.

(D) Donella: Lo ricordo: bello, con le foto scattate da Umberto Telesco, al Florian di Venezia.
Lì scrivevo: “Sono sui versanti dell’avanguardia contemporanea fra il Liberty e Hindemith”, dati i primi due album, INTROSPEZIONE e LORD CROMWELL PLAYS SUITE FOR SEVEN VICES.
(A) Alfredo: Nel ’78 era pronto il terzo, STRATA, ma la Cramps non l’ha pubblicato. Avendo rilevato la casa discografica di Gianni Sassi, nell’89 lo abbiamo fatto noi: così è uscito per la nostra etichetta Artis Records…
Poi nel ’96 è arrivato LYRICS e ora questo, il quinto.
Il cui ultimo brano La danza della luce ricorda i Dead Can Dance. Vi si può definire due band parallele?
A: C’è un parallelismo, la fase della danza deriva dalla mia convivenza con la musica rumena e balcanica. Che gioca su due varianti e un semitono, Mi minore e Fa maggiore. E poi finisce in La e ripete tutto il giro che inizialmente era in 5/4, ma che per un ambiente più rock ho ridotto a 4/4… Una musica ossessiva…
Molto ipnotica.
A: La base ritmica è di Tony Esposito, all’inizio c’è anche Sasha e poi l’introduzione è ad opera di Alan Bedin: voce e uno strumento indiano, il tarang.

Mauro Martello, flauto e digital saxophone; Emanuele meme Giordani, batteria; Alan Bedin, Harmonium, tarang, elettronica, voce
Il brano che apre l’album mi sembra un capolavoro. Al primo accenno ti senti percorso da brividi prodotti da frequenze che, con la voce di Donella, “prendono dentro”…: È un tema neoclassico che riporta a melodie ottocentesche, con la base degli archi molto forte e l’entrata del flauto e la voce. Dentro ci sono quattro pezzi, uno tratto dal concerto di Bucarest… poi La danza della luce e le Variazioni veneziane…
D: Che sono però molto giocate…
A: …in connubio fra il romanticismo di Paganini e Vivaldi, ecco perché le “veneziane”.
La chiusura è un unico accordo di pianoforte sorretto da una base orchestrale…
A: Infatti, mentre lei entra con la voce quasi in…
D: …una specie di evocazione diabolica, stregonesca…
Ma nel testo c’è “Je suis le ciel – Je suis la mer…”.
D: Sì, è in francese, un attimo di meditazione, in un luogo magico, dove l’anima rinasce, e la persona si identifica con il cielo, il mare e poi dice “io sono, sono, sono”.

Alfredo Tisocco, pianoforte; Donella Del Monaco, voce
A: LOUCOS – NEL LUOGO MAGICO lo avevamo pensato nel periodo 2000-2005, a completamento della nostra partecipazione… al “Prog”…
D: Un po’ borderline…
A: Abbiamo sempre lavorato su una fisionomia “a programma” come nei “concept album”, nel primo c’era la storia di Donella…
D: L’“Introspezione”.
A: Nel secondo, una reminiscenza delle storie pianistiche, nel terzo, STRATA, erano gli “stati mentali”… poi LYRICS che richiamava un mix quasi esoterico…
D: Sì, di temi paleo veneti, testi arcaici.
A: E nel quinto volevamo tornare al luogo magico.
Donella è trevigiana…
D: Sì e mi sono laureata a Venezia, dove ho vissuto e ho casa.
A: Il marito di Donella, Giorgio, era veneziano. Io sono vicentino, ma ho studiato a Venezia, al Benedetto Marcello… e c’è Mauro ai fiati
Non siamo nati o cresciuti Prog. Siamo quasi dei Don Chisciotte
Donella Del Monaco

D: Flauto e sassofono. In un altro pezzo, transitorio, facciamo una sorta di “promenade”, che si chiama Tempo infinito…
È musica “concreta”, i suoni dalla vita di tutti i giorni, poi montata e armonizzata. Ma con quale fine?
D: Allargare i confini della musica strutturata, fare entrare in quel mondo i suoni, creando una dimensione che ti avvolga e che ti porti alle sfere più alte dell’esistenza. Una ricerca interiore tramite le emozioni che, “teoricamente”, dovrebbe suscitare. Non sempre ci si riesce, ma i suoni della natura, del vento, dell’acqua, aiutano nei momenti di ricerca del Sé.
Tutto ciò che è tribale si nutre del contatto diretto con la natura. Basi sonore arcaiche, provenienti dall’Africa o dalle tradizioni aborigene legate agli Elementi, si ravvisano nel film Picnic ad Hanging Rock, in cui il flauto di George Zamfir permea la storia e il suo mistero.
D: In perfetta simbiosi con la Natura.
A: Loro fanno molta monodia, si basano su ritmi naturali, prodotti sui legni, sulle pelli. Territori che abbiamo esplorato, alle cui reminiscenze aggiungiamo la polifonia, le voci…
D: Che fanno parte del nostro DNA.
A: Restando aperti alle altre esperienze, dall’orientale al medio-orientale, e soprattutto balcaniche… E anche francesi.
D: Certo, ma Venezia storicamente è stata sempre punto di scambio fra Oriente e Occidente, di mescolanze e influenze infinite.
Però tu preferisci cantare in francese.
D: Sì, spesso. Ho fatto dischi specialistici, tutto Erik Satie, Reynaldo Hahn e Les Chansons Grises con i testi di Paul Verlaine, ho lavorato parecchio a Parigi. È un mondo in cui mi riconosco.
A: Nella sequenza dei brani, basati sulla ricerca sui Balcani e la “venezialità”, dal Luogo magico che è l’enunciazione, il passo dei flauti de Il tempo infinito suggerisce che il primo soffio che l’Umanità ha fatto con una canna di legno è il ricordo del superamento della primordialità e l’inizio del percorso umano nella cultura.
E poi c’è il quinto, Aisha è intoccabile… Che è molto emozionante.
D: La voce è di mio marito, Giorgio Bisotto, che lo ha recitato un mese prima di venire a mancare. Cerco di non ascoltarla tanto…
A: Il sesto è Riflessi d’acqua…
Tanto immaginifico da essere accostabile a Morricone.
A: Molto armonico, da colonna sonora. Fino a ora, di mio ho pubblicato undici singoli fra musiche per coreografie e danza, studi sulla tastiera, sul pianoforte e sulla “enefona”, la teoria che coglie il passaggio fra la scala armonica di sette note e la dodecafonica di 12 note. Nella enefonia si evidenziano politonalità e pentafoniche, quindi scale cinesi e monodiche orientali e mediorientali.
Venezia e il mare, invece, si tramuta in un blues potentissimo.
A: È venuto alla fine. Alan Bedin è uno studioso dell’India e di Krishna, ma anche di blues e si sente, poi portato più marcatamente da Sasha e Tony Esposito sui versanti sudamericani. E avevamo inserito anche un omaggio a Cesare Andrea Bixio…
D: Con la sua Nanou, Miki, Cette Chanson si tendre, una canzone che Bixio compose per la grande cantante e soubrette francese Mistin[1]Guett… lei è un mio pallino. Una vedette del café chantant che conobbe gli spiriti artistici più alti degli anni Venti, da Pablo Picasso a Stravinsky. Ed ecco il collegamento Parigi-Venezia.
Parliamo dell’esperimento coraggioso con il rapper Claver Gold.
D: Claver aveva preso una nostra canzone, Il pavone, come leitmotiv di un suo brano, e ne aveva fatto un video molto bello. Lo contatto su Facebook e gli dico, ‘rifallo e metti pure il titolo Soffio di lucidità’, che è mio…
A: Situazione ingarbugliata in cui correvamo tutti il rischio di perdere ogni diritto. L’hanno risolta lo stesso Claver e mio figlio Alfred, avvocato, membro dell’AFI ed esperto di editoria. D: Il video di Soffio di lucidità ha fatto quattro milioni di visualizzazioni.

Il gruppo Opus Avantra non è solo uno dei migliori nell’ambito di ciò che è stato chiamato rock progressive, ma è anche portatore di una filosofia musicale, di un’estetica che oggi, dopo quasi 50 anni dalla fondazione avvenuta nel 1973, si trova in perfetta sintonia con la Musica del Presente, come dimostra l’ultimo lavoro LOUCOS. Opus Avantra ha precorso i tempi, oggi il rock non è più possibile chiamarlo progressivo, lo era negli anni Settanta quando si apriva a esperienze molteplici e superava lo schema della strofa e ritornello col riff. Oggi il vecchio prog è diventato altro, non più legato al concetto di progresso ma a quelli di attraversamento e di molteplicità, dai quali alimentare una creatività aperta e plurale. È incredibile come Opus Avantra sia riuscito a mantenersi un punto di riferimento, con la voce inconfondibile di D. Del Monaco e con l’attività compositiva e pianistica di A. Tisocco, che furono i fondatori del gruppo assieme a G. Bisotto e R. Marengo. La grande abilità dei singoli è al servizio del sound d’insieme, come nel miglior jazz vi è un interplay perfetto, come nel miglior rock un’energia travolgente che scaturisce dalla convinzione con cui tutti i musicisti s’intrecciano nel progetto, come nella migliore musica classica senso della forma e bellezza di suoni.
Renzo Cresti
Spieghiamo ulteriormente.
D: In origine era una canzone anni 70 cantata in inglese dalla bravissima Katyna Ranieri, la moglie di Riz Ortolani, che l’aveva composta. Renato Marengo mi ha suggerito di farne un omaggio a Ortolani, ma era difficile. Allora per i testi ho inserito Claver Gold, traducendo liberamente le parole in italiano per adeguarle alla canzone.
Veniamo a questa vostra “associazione” con il Prog, definizione che verso il ’72-73 stava a indicare una musica proiettata in avanti… Ma voi siete Avanguardia.
D: La nostra musica ha diverse provenienze, soprattutto classiche e dalla contemporanea. Cerchiamo sempre di creare musica “inclusiva”, come dice il musicologo Renzo Cresti. Ed è anche il mio pane, dati i miei sette anni di convegni sulla musica di oggi, con la Biennale di Venezia e l’Università Ca’ Foscari. Negli anni 70 era chiaro: facevamo musica per cambiare il mondo, la società e tutto. Anche quelli della contemporanea e del rock volevano cambiare tutto, eravamo dei puri. Pane e musica, dei soldi non ci importava niente. Adesso è il meccanismo, miliardi di tendenze, cui non si riesce a stare dietro, con internet e le piattaforme di ascolto che hanno aperto a dismisura le possibilità…
A: La nostra è un’etichetta di nicchia e di avanguardia, quindi siamo in “rock opposition”. E invece ci hanno inserito nella sventagliata del prog….
D: Non lo abbiamo voluto noi, non siamo nati o cresciuti prog. Siamo quasi dei Don Chisciotte…

All’inizio, in Italia la deriva sinfonica aveva unito compositori classici o di colonne sonore, come Bacalov, ma i rocker avevano il fattore fondamentale dell’elettrificazione, che a voi in partenza mancava.
A: L’avevamo solo nella fase sperimentale. Sono stato fra i primi fautori del Moog di Robert Moog, degli Arp Synth monodici e polifonici, sommati all’evoluzione dello Yamaha e del Roland, ora polifonici. L’oscillazione del suono elettrificato rappresentava una mirabile variante creativa… Battiato ne resta l’esempio più grande e lampante.
D: Il cosiddetto Prog in quegli anni è scaturito dalla rottura dei generi, dalla contaminazione nella ricerca in varie forme, anche alla canzone… movimenti tutti che hanno dato molto all’ultima parte del Novecento, collegando tempi e generi fra loro lontanissimi, tanto che credo entreranno nei libri di Storia della Musica. Oltre all’elettronica, l’innovazione c’è stata in tutti i campi e anche noi e i tanti artisti coinvolti abbiamo cercato di trovare una via di collegamento.
C’è un cofanetto in arrivo.
A: Abbiamo a lungo parlato dell’idea di ripercorre tutta la nostra storia in un box e ora sta per uscire: probabilmente lo chiameremo 48 BOX OA, perché sono passati 48 anni da quando abbiamo calcato il palcoscenico del teatro delle Arti di Roma, nel 1974, per la prima rappresentazione sotto Trident, l’etichetta di Maurizio Salvadori e Angelo Carrara. A: Sì, persone che, dopo cinque dischi di rock e prog, con coraggio ci hanno accettato – ed è stato bravo Renato a farci entrare nel giro – con Tony Esposito e così via. La sequenza è storica. Oltre ai cinque vinili a colori diversi, ci saranno sei Cd, il video del concerto di Tokyo, una penna di pavone, un poster e un libro, un saggio i cui autori sono Marengo, Donella e… tante fotografie.