Biennale di Venezia? Se Dio esistesse sarebbe un Suono. Con Kader Attia e Xavier Veilhan l’Arte è viva e si sente!

Come promesso volevo esprimermi sulla Biennale in corso a Venezia, volevo dire in calle?! Parto con ironia per manifestare umilmente il mio pensiero sulla Mostra che come ogni anno mi ripaga e nello stesso momento mi innervosisce per qualche contenuto o artista incosciente o all’oscuro del periodo artistico in cui viviamo. Voglio ringraziare l’organizzazione per l’ouverture proposta con opere in tessuto e tappeti lavorati dalla grande Teresa Lanceta, Ernesto Neto e la scoperta Hao Liang, inchiostro e colore su tela (meraviglioso). Amo i tappeti annodati e i lavori a telaio, innegabile (è stato il primo regalo di fidanzamento di mia moglie). Poi ho sottolineato con un musicista in una vernice – finalmante – l’aumentare esponenziale di tele, quadri, opere e materiali ornati dalle vere capacità e tecniche degli artisti, a differenza dei video o documentari della scorsa edizione, con televisori e schermi smisurati che rivestivano più della metà degli spazi espositivi. Era sproporzionato e smobilitante! Vado avanti. A metà della corsa in Arsenale senza pit stop mi perdo nell’opera più entusiasmante della mostra, almeno per un musicofilo e amante del suono come me. (Gridando) Ecco Kader Attia!! Mi vien da ridere nel leggere la nota didascalica nel pannello: “tecnica mista”… Si tratta in realtà di “Narrative Vibration”, l’opera dove l’artista focalizza la sua attenzione sulla questione del suono, partendo dalla musica tradizionale in nord africa e nel Medioriente in cui la voce ha una grande influenza sulla popolazione – tutta – fino ai transessuali, per i quali la trasformazione della voce rappresenta un aspetto cruciale. Attorno al tema del suono, Kader ha quindi immaginato un viaggio, dalle scienze acustiche all’emozione della poesia, trasformando la voce e la posizione che occupa a livello sociale nella cultura araba, in immagine e scultura. Dalla vibrazione al significato, dagli studi di acustica di Herr Chladini al ruolo politico della voce nelle società: dalle persone comuni desiderose di cambiare la propria voce, come i transessuali, alle voci delle grandi dive. Onde elettromagnetiche generate da cantanti diventano vettore artistico per (s)muovere la semola (la società) fatta di grani fini (individui). Suoni acuti e gravi rivelano concetti e mostrano l’azione della natura prima ancora dell’intervento dell’uomo. Appena uscito galvanizzato mi son lanciato dal mio libraio veneziano di fiducia per ordinarmi l’Antologia della musica araba e un formato umano (in inglese) per estorcere facilmente nozioni sul trattato di acustica del buon Chladni.  Dopo lo shock acusmatico ho proseguito guizzando tra i padiglioni industrial a volte più interessanti delle opere fino ad uscire e intravedere delle sfere sonore che guardavano il mitico bacino interno della tanto inutile che meravigliosa Arsenale veneziana, location ormai abitudinaria per il padiglione tricolore, la rappresentanza italiana alla Biennale, lo spazio col portone d’entrata in bronzo monumentale quasi fascista se non fosse per l’asimmetria della struttura, quello in cui tutti sperano che un giorno il nostro Paese riuscirà abbattere l’audience dell’antagonista delegazione artistica giapponese, cinese, thailandese, africana (…). La vedo dura… Infatti anche quest’anno è il turno di Roberto Cuoghi con la sua “Imitazione di Cristo” – che come per tutti da anni – tocca l’arduo compito di indagare, combinare, riflettere, sopravvivere con le continue tradizioni proprie della storia dell’arte italiana. Ancora?! Basta… La storia dell’arte italiana dei libri di scuola per intenderci, di quelle edizioni che si fermano al futurismo del primo ‘900 (per intenderci la versione adorniana con i tre libri colorati diversamente: blu, arancione, verde). Indovina? Di nuovo l’immagine del Cristo e del suo triste crocifisso riproposto e riprodotto come in un laboratorio di “materialismo tecnologico” in un ambientazione palesemente horror post punk da banale laboratorio tipo Hostel con tanto di lettini da sala chirurgica, attrezzi, forni, corridoi gonfiabili (mi è venuto in mente il film di E.T.) celle e pezzi di corpi di cloni ovunque che dovrebbero presentarsi come le prove, i collaudi, i tentativi di imitazioni del Cristo crocifisso, modello Bernini per capirci. Non essendo in alcun modo preparato sull’artista e sulla sua attività, ho analizzato l’istallazione senza alcuna forma di intellettualismo, senza inutili elucubrazioni basandomi quindi sulla reazione opera-visitatore. Io mi domando se per essere sovversivi o furbamente reazionari bisogna ancora toccare, punzecchiare la fede o la spiritualità esteriore che va per la maggiore in Italia. E non parlatemi di ispirazione al testo medievale di dottrina cristiana. Quest’anno in Biennale ha vinto il suono con la sua energia e vibrazione artefice di vita. Se Dio esistesse sarebbe un suono ed è stato comprovato ai Giardini con “Studio Venezia”, istallazione operativa-performativa nel padiglione francese ideata e realizzata da Xavier Veilhan con la strumentazione fornita da Nigel Godrich.

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